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10 febbraio 2022 | articoli

I.t.s.: strumento importante per lo sviluppo del Sud

La riforma degli ITS per rilanciare lo sviluppo del mezzogiorno

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In questi giorni il Parlamento sta discutendo la riforma degli ITS, il principale strumento di connessione tra politiche formative e politiche industriali in un’epoca di grandi trasformazioni tecnologiche ed organizzative. A distanza di quasi 15 anni dalla fondazione qual è il bilancio? 

A prima vista non è male: l’efficacia dello strumento è comprovata dai giovani diplomati ITS che, a un anno dal conseguimento del titolo di studio, sono stabilmente occupati in ragione dell’80% con punte del 90/100 % in alcuni territori ed in alcune aree tematiche. Anche le iscrizioni crescono (seppure lentamente).

Ma in Italia gli ITS sono poco più di 100 e gli iscritti meno di 20.000 (Rapporto INDIRE 2021). Una piccola cosa rispetto alla Germania dove la formazione tecnica superiore mobilita circa 10.000 strutture simili, con un coinvolgimento pieno delle imprese ed uno stanziamento tra pubblico e privato che supera i 10 miliardi di euro. La Francia ha una struttura diversa, che coinvolge anche l’Università, ma anch’essa con un impegno molto alto delle imprese. Solo il 2% dei diplomati di tutte le scuole superiori si iscrive ad un ITS, mentre più del 50% si iscrive alla triennale universitaria.

Se poi guardiamo al Mezzogiorno, ci si presenta una situazione ancora più negativa. Nelle Regioni svantaggiate (Sardegna, Sicilia, Campania, Puglia, Calabria, Abruzzo e Molise) gli ITS sono 40 sul totale nazionale di 117: non pochi, ma quasi sempre poco efficienti e ancor meno efficaci. Nel 2019 (ultimo dato “INDIRE”) in queste ultime Regioni il tasso di abbandono è stato del 32,4%, mentre nelle altre Regioni (Nord-Centro) gli abbandoni sono stati il 19,8%. Ci sono eccellenze anche nelle Regioni meridionali, ma mentre al nord gli ITS sono sempre più parte del processo di adeguamento delle nuove competenze alle necessità delle imprese, al sud questo rapporto stenta a decollare. Che fare? 

Un ruolo fondamentale lo devono svolgere le grandi imprese pubbliche e private stimolate dallo Stato ad avviare una grande campagna di alta formazione professionale (soprattutto nei profili scientifici e tecnologici), affiancata da misure di trattenimento al sud dei giovani professionalizzati. La crescita delle opportunità locali di occupazione resta la via maestra, ma ad essa si devono affiancare anche altre misure già affermate o che stanno emergendo: l’utilizzo diffuso dello smart working, la incentivazione della imprenditoria giovanile, ulteriori sgravi fiscali e contributivi per le imprese che assumono giovani (e li trattengono).

Fino al 2020 le risorse dedicate agli ITS ammontavano a poche decine di milioni all’anno e senza il contributo significativo delle imprese non avrebbero potuto crescere. Oggi c’è una positiva congiuntura perché nel PNRR (Missione 4: Istruzione e Ricerca) è previsto un capitolo per lo “Sviluppo del sistema di formazione professionale terziaria (ITS)” con una spesa di 1,5 miliardi nel quinquennio, ai quali si sommano i fondi stanziati per il 2021/2022 nel Fondo per l'istruzione e la formazione tecnica superiore. Se le finalità di questo strumento formativo non saranno snaturate è possibile il vero decollo e l’obiettivo delle 100 mila iscrizioni e degli 85 mila avviamenti ad attività coerenti diventa realistico. 

Il Senato sta discutendo un disegno di legge già approvato dall’altro ramo del Parlamento nel quale, partendo dalla ridenominazione (ITS Academy), si pongono numerosi obiettivi: la semplificazione dei meccanismi di “governance”, la individuazione di nuovi standard di accreditamento, il maggiore coinvolgimento dei docenti delle scuole superiori, il legame con le nuove politiche attive per il lavoro. Una cosa è certa però: se la riforma degli ITS dovesse prendere la strada di un prolungamento dell’iter scolastico dei licei o degli istituti tecnici (il 6° e 7° anno), se ne decreterà lo snaturamento. L’elemento fondamentale che deve essere salvaguardato (e nel caso del meridione creato) è l’intreccio fra fabbisogno di competenze richiesto dalle imprese e il ruolo attivo delle medesime nella definizione dei programmi e nel sostegno formativo diretto con docenza sia in classe che in azienda. Anche nella governance il ruolo delle imprese deve essere assolutamente salvaguardato, un principio fondamentale ancora di più per il Sud. Le risorse di competenza presenti nelle aziende dovrebbero essere ancora più utilizzate per avvicinare gli studenti alla frontiera tecnica/tecnologica con cui le aziende migliori si misurano costantemente. 

 

Maria Rosaria Brunetti e Giuseppe Coco

(Corriere del Mezzogiorno)

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